Il nodo Palermitano della Rete nazionale per la sicurezza sui posti di lavoro con questo blog intende creare uno spazio libero di informazione di classe aperto a tutti coloro che ((consapevoli della continua strage di lavoratori morti sul e per il lavoro)) vogliano contribuire alla lotta -- BASTA MORTI E INFORTUNI IN NOME DEL PROFITTO T -- PADRONI ASSASSINI PAGHERETE CARO . PADRONI ASSASSINI PAGHERETE TUTTO -- per un contatto diretto 338-3342733 o 338- 7708110 oppure retesicurezzalavorosicilia@gmail.com

mercoledì 1 novembre 2017

SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! – NEWSLETTER N. 288 DEL 25/10/17

SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! – NEWSLETTER N. 288 DEL 25/10/17

INDICE
-         La solitudine dei lavoratori e degli operatori della prevenzione
-         Pensioni: in vigore le nuove regole per i lavori usuranti
-         Infortuni sul lavoro: da domani meno sanzioni per la mancata comunicazione
-         Soluzioni tecniche per la sicurezza dei trattori e patentino
-         Storie di infortunio: un lavoro due padroni
-         Imparare dagli errori: incidenti nella conservazione degli alimenti
-         Luoghi di lavoro: obblighi, notifiche e viabilità

Invito ancora tutti i compagni della mia mailing list che riceveranno queste notizie a diffonderle in tutti i modi.
La diffusione è gradita e necessaria. L’obiettivo è quello di diffondere il più possibile la cultura della salute e della sicurezza e la consapevolezza dei diritti dei lavoratori a tale proposito.
L’unica preghiera, per gli articoli firmati da me, è quella di citare la fonte.

Marco Spezia
ingegnere e tecnico della salute e della sicurezza sul lavoro
Progetto “Sicurezza sul Lavoro! Know Your Rights”
Medicina Democratica - Movimento di lotta per la salute onlus

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LA SOLITUDINE DEI LAVORATORI E DEGLI OPERATORI DELLA PREVENZIONE

Da Lavoro e Salute
05/09/17
di Marco Caldiroli
Medicina Democratica Provincia di Varese

QUALE E’ IL RUOLO, OGGI, DEI TECNICI DELLA PREVENZIONE ATTO A GARANTIRE CONDIZIONI DI LAVORO SALUBRI?


Tra le risultanze del processo per il crimine Thyssen di Torino del 05/12/07 risuona ancora, pur virtualmente, ma non meno assordante, la risposta alle segnalazioni telefoniche dei lavoratori che chiedevano interventi alla competente ASL, una risposta burocratica ma in linea con l’attuale rapporto tra servizi pubblici di prevenzione (ASL) e lavoratori/”utenti”: la necessità di inviare un formale scritto di richiesta per poter (eventualmente) attivare l’intervento dell’organo di vigilanza.
Dai dati processuali, emergono le mail aziendali in cui un dirigente (poi imputato e condannato) preannunciava ad altri l’arrivo di ispezioni sulla sicurezza sul lavoro.
E’ anche emersa la realtà di tecnici ASL “locali” che svolgevano attività di consulenza per l’azienda anche se, formalmente, in siti diversi da quello torinese.
Solo dopo il crimine, i sopralluoghi della medesima ASL hanno individuato 116 violazioni in materia di sicurezza e igiene del lavoro, i precedenti sopralluoghi nel 2006 avevano già rilevato violazioni poi considerate come “risolte”.

Il tutto, ovviamente, ha dato agio a chi contesta, indiscriminatamente, l’operato della pubblica amministrazione aggiungendo alle diverse “caste” anche quella degli operatori ASL, al meglio nulla facenti, al peggio complici delle aziende. Questi fatti, al di là delle responsabilità individuali (peraltro non oggetto del processo ma solo di indagini interne), segnalano quanta acqua è passata sotto i ponti da quando Medicina Democratica e molti consigli di fabbrica sostenevano e organizzavano il confronto e l’azione tra le richieste di sicurezza espresse dai lavoratori e dalle lavoratrici, a partire dalla autoanalisi dei processi produttivi e delle nocività, e la risposta istituzionale, dalla costituzione degli SMAL prima, delle USL poi fino alle attuali ASL (o Agenzie di Tutela della Salute, ATS in Lombardia).
Nonostante l’evoluzione della normativa in materia è arrivata a prevedere una figura (il Rappresentante dei Lavoratori della Sicurezza) deputata a rappresentare le istanze dei lavoratori con le aziende e a rivolgersi agli organi di vigilanza ogni volta lo reputi necessario, il mutato contesto culturale e politico non ha determinato una estensione o almeno un mantenimento delle esperienze pregresse che avevano il loro “zoccolo” sullo Statuto dei Lavoratori.

E’ la conferma che l’assenza di iniziativa e di pressione da parte del soggetto interessato (i lavoratori e le lavoratrici) per la conquista di nuovi diritti non determina una “stabilizzazione” di quelli in precedenza acquisiti (di fatto e/o riconosciuti per legge), ma una loro progressiva e sempre più accelerata erosione. Limitandoci agli aspetti relativi alla sicurezza sul lavoro, il contesto attuale può essere sintetizzato come segue.
a) Uno strumento normativo (a partire dal D.Lgs. 626/94 confluito nel D.Lgs. 81/08) sostanzialmente evoluto, dettagliato e idoneo ad affrontare sia i temi della prevenzione che delle verifiche dopo eventi negativi (infortuni e malattie professionali): uno strumento impegnativo (che necessità di un sistema dell’ “interpello” al Ministero del Lavoro) per l’evoluzione e il cambiamento dei processi produttivi e dei rapporti di lavoro.
b) Una “solitudine” nelle attività di vigilanza: ogni accesso in una azienda significa doversi confrontare con una realtà tecnica diversa, da ricostruire e valutare, quasi sempre con estrema difficoltà di confronto diretto con chi vive la fabbrica, in particolare nelle medie e piccole aziende. L’accesso avviene su programmazione della ASL (a sua volta coordinata con la Regione) o in casi di eventi da indagare.
La prevenzione come processo partecipativo concordato e sviluppato tra chi è in fabbrica e chi ha il compito della vigilanza è un lontano ricordo ed una eccezione.
c) Solitudine (e responsabilità) accentuate con l’attribuzione della qualifica di Ufficiali di Polizia Giudiziaria e con le derivanti incombenze nell’ambito dei procedimenti penali introdotte dal 1994, si deve rispondere sia al Pubblico Ministero e contestualmente alla dirigenza sui risultati e il contenuto (o meglio l’entità) del proprio lavoro.
Si conferma, in altri termini, il timore espresso da Dario Miedico anni fa (si veda sul n. 227-230 “Salute e ambiente in fabbrica” di Elena Davigo) con cui metteva in guardia gli “entusiasmi” sulla estensione delle qualifiche ispettive agli operatori SMAL/USL: “Non è importante entrare in fabbrica, perché se tu non hai i lavoratori maturi per un intervento tu puoi entrarci finché vuoi, ma non succede esattamente niente”.
L’attuale condizione operativa non spinge ad approfondire l’esame della realtà produttiva, ci si ferma (ed è già un passo significativo dati i tempi) alla verifica dei principali rischi connessi con
l’attività e agli interventi prescrittivi conseguenti in caso di non conformità al dettato normativo. Una volta chiusa la porta della fabbrica dietro di sé non si saprà se l’intervento
ha modificato l’atteggiamento e l’azione di tutti gli attori nell’affrontare i temi della sicurezza.

La soggettività del lavoro difficilmente entra nel campo della nostra attività affinché l’azione ispettiva si conformi alle esigenze dei lavoratori anziché alla pura applicazione della normativa. Se si “perdesse tempo” nel cercare e sostenere l’azione dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti si tratterebbe di una attività “non rendicontabile” (non entra nei “numeri- obiettivo” che la ASL si è data per l’anno in corso). Si può, al più, intervenire per correggere le storture (violazioni) più evidenti (ad esempio impianti non conformi) o introdurre elementi di miglioramento dell’igiene del lavoro (che necessitano però di una continuità di intervento), ma non certo affrontare interventi di modifica significativa dei processi produttivi, in particolare se complessi, e migliorare la “vivibilità” del luogo di lavoro (basti pensare al tema dello stress lavoro-correlato difficile da cogliere in un “normale” sopralluogo). Nel migliore dei casi abbiamo un tecnico che entra in azienda (con un mandato spesso “limitato” dalla programmazione e dalle indicazioni dirigenziali) che cerca di svolgere al meglio il suo compito di verifica delle norme e, per meglio inquadrare la situazione, “pretende” la presenza del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) quasi sempre ben “abbottonato” per evitare contrasti con il datore di lavoro.
Contestualmente si crea una situazione, favorita dalla precarietà dei rapporti di lavoro e dalla crisi, in cui lavoratori attendono (“sperano” o “disperano”) in un miglioramento delle condizioni grazie all’azione “salvifica” della istituzione rappresentata dall’operatore che, apparentemente in modo casuale o post evento infortunistico, accede in azienda.
Uno stato di passività che non può trovare soddisfazione, che non produce crescita personale e collettiva né vertenzialità, ma solo rabbia che troverà un modo qualunque per manifestarsi: negli ultimi anni sono frequenti le segnalazioni “post”, lavoratori singoli, licenziati, si presentano all’ente per segnalare, in modo più o meno dettagliato, aspetti di non conformità nell’ex luogo di lavoro che hanno fino a quel momento sopportato in silenzio nel timore di perdere il lavoro, comunque perso, alla ricerca di una “vendetta”.

Va anche considerato che è in atto un (lento) ricambio generazionale, i “vecchi” tecnici che hanno iniziato la loro attività nella temperie culturale e nel conflitto degli anni ‘70 e seguenti (per lo più con titoli di studio pari a un diploma secondario tecnico) vengono sostituiti da nuovi tecnici con un curriculum formativo apparentemente migliore (laurea triennale in tecnico della prevenzione,) ma che vengono inseriti e plasmati da una struttura sempre più gerarchizzata e sempre più fondata sulla produzione di “prestazioni” definibili quantitativamente in ossequio agli obiettivi regionali e del singolo ente, a loro volta connessi con il riconoscimento in busta paga delle “risorse aggiuntive”, unica chance di mantenimento del reddito dopo oltre otto anni di blocco salariale nel pubblico impiego.
Ma anche il ricambio è parziale e confligge con gli obblighi “anticorruzione” per i quali quasi nessuna attività può essere solitaria (la riduzione del personale così accentua ulteriormente la riduzione di capacità di azione del singolo tecnico). Da ultimo le norme anticorruzione vengono utilizzate per “far girare” gli operatori in territori diversi nelle oramai “sconfinate” ASL (basti pensare, in Lombardia, che la ATS Milano Città Metropolitana comprende la metropoli, l’intera ex provincia di Milano e la provincia di Lodi), spezzando ogni possibilità di rapporto continuativo e di accumulo di conoscenze sulla evoluzione delle imprese, il risultato sarà che ad ogni accesso si ricomincia da zero.

DAI SERVIZI DI PREVENZIONE ALL’ISPETTORATO UNICO

La “soluzione” ingegnata dall’attuale governo è l’ “Ispettorato Unico” (Legge 10/12/14 n. 183) e la estensione degli strumenti digitali. L’Ispettorato Unico è “figlio” anche delle richieste imprenditoriali volte alla razionalizzazione e riduzione dei controlli oggi definiti in relazione alle competenze differenziate sui diversi aspetti che regolano il mondo del lavoro (regolarità contrattuale, regolarità contributiva e assicurativa, sicurezza, tutela ambientale, attrezzature con obbligo di verifica periodica, aspetti fiscali). In astratto una singola impresa può vedersi “ripetutamente” controllata in una sequenza di accessi di verifica su singoli aspetti determinando uno “stress” per controlli molto spesso poco più che formali. L’agenzia unica “Ispettorato Nazionale del Lavoro”, sottoposto al Ministero del Lavoro, “svolge le attività ispettive già esercitate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dall’INPS e dall’INAIL”. L’ambito della vigilanza sulla sicurezza sul lavoro però, essendo attribuita (future modifiche costituzionali permettendo) alle Regioni tramite le ASL, rimane quasi completamente fuori dal suo ambito di azione.
Non solo l’Ispettorato è nato coordinando gli operatori preesistenti di diversi enti (INAIL, INPS, Direzioni Provinciali del Lavoro) senza alcun incremento, ma i primi riscontri confermano un livello immodificato negli interventi relativi alla sicurezza sul lavoro rispetto a quelli in precedenza svolti dai singoli enti. La “filosofia” è però chiara, tendere al ritorno dell’Ispettorato del Lavoro preriforma sanitaria del 1978 per riaccentrare le competenze e le funzioni di vigilanza, proprio quella situazione che l’azione del movimento operaio degli anni ‘70, sostenuta anche dagli operatori, aveva superato affiancando tale obiettivo alla lotta per una sanità pubblica universalistica (non è casuale che, nel contempo, anche i sindacati spingono per inserire nelle contrattazioni aziendali forme di sanità “integrativa” frammentando e lasciando cadere quella rivendicazione). L’esito del referendum costituzionale, che riportava molte competenze “strategiche” della sanità allo Stato togliendole alle regioni, costituisce per ora un ostacolo a tale obiettivo.

Il tema della razionalizzazione dei controlli poteva essere affrontato diversamente: con quel coordinamento tra enti, statali e regionali, contenuto nel D.Lgs 81/08 e mai affrontato seriamente. Quello che è in fase di attuazione è invece la digitalizzazione di adempimenti e lo “scambio” di informazioni tra enti tramite il nascente SINP (Sistema Informativo Nazionale per la Prevenzione nei luoghi di lavoro) che, allo stato attuale, è solo un database condiviso tra enti con informazioni poco dettagliate. Ad esempio i dati ricavabili dai registri infortuni dal passaggio al registro cartaceo tenuto in azienda e quello prodotto informaticamente dalle singole denunce d’infortunio sono minori e la “storia” infortunistica della singola azienda è meno leggibile.

I “NUOVI” SOGGETTI DELLA PREVENZIONE: I DATORI DI LAVORO IN CONCORRENZA TRA LORO? I COMMITTENTI?

Se i lavoratori quale entità organizzata e con una capacità vertenziale riguardante anche gli aspetti di sicurezza appaiono indeboliti (trasformati a tal punto da essere incapaci di riorganizzare rappresentanze e obiettivi) altri “soggetti” emergono.
La citazione dalla Bibbia posta all’inizio di questo testo rimanda agli attuali obblighi dei “committenti”. La sicurezza ha un costo economico come lo hanno i diritti dei lavoratori, le aziende che intendono occupare una parte del “mercato” formulano proposte allettanti, accollandosi il “rischio” alquanto ridotto di controlli, risparmiando con lavoratori in nero o precari e con ridotte o nulle misure di prevenzione/protezione dei lavoratori.
Il “committente” (che nel caso di lavori edili può essere qualunque cittadino “proprietario” di un immobile) è preparato e così sensibile da essere in grado di decidere, privilegiando la sicurezza? Davanti a una azienda che gli offre un’opera a un prezzo estremamente e immotivatamente più basso rispetto ad un’altra chiederà il motivo di tale differenza? O preferirà comunque e sempre il prezzo più basso (che nelle opere pubbliche è peraltro il primo passo verso la corruzione o lavori di qualità scadente oltre che insicuri), pensando che, comunque, non sono problemi suoi, ma di altri, e che gli altri si devono arrangiare come lui si deve arrangiare e subire nel proprio luogo di lavoro?
Oltre a questo nuovo soggetto “suo malgrado” coinvolto in scelte prevenzionali, oramai consueto è anche il fenomeno delle segnalazioni (di solito ben circonstanziate) da parte di imprenditori, in particolare nel campo edile. “Scottati” da qualche sopralluogo o da qualche contenzioso economico non esitano a segnalare concorrenti che stanno svolgendo lavori in modo non sicuro e chiedono un intervento dell’organo pubblico per ripristinare la loro “eguaglianza” di fronte alla norma.
Per non dire dei cittadini che, scocciati perché si sta costruendo un nuovo edificio vicino al proprio, pretendono un intervento immediato evidenziando problemi di sicurezza che non ci sono o quando i problemi sono di altro genere (contenziosi con il vicino, rumore durante l’attività lavorativa, ecc). Il cittadino si pone quale contribuente, e chiede un “servizio” all’ente che ritiene dovuto al di là di ogni considerazione sul pericolo reale che corrono i lavoratori, pensando solo al proprio disagio e rischiando di deviare le poche forze in controlli inutili.
Ovviamente il discorso qui accennato è paradossale, non sono questi i “nuovi soggetti sociali” della prevenzione, ma anche queste brevi note mostrano l’estrema frammentazione e contraddittorietà della situazione.

NON CI SONO INTERVENTI SALVIFICI NE’ SCORCIATOIE

Per risollevarsi dalla condizione attuale degli operatori e dei lavoratori non vi è altra strada che mettere insieme queste solitudini per fare una nuova “comunanza”, affinché questo incontro sia produttivo necessita un “ritorno al futuro” delle pratiche che hanno caratterizzato in particolare gli anni ‘70. Significa da un lato mettere in discussione la “aziendalizzazione” delle ex USSL anche in questo comparto di intervento (rimettendo in evidenzia, concretamente, l’iniziale funzione della prima contenuta nell’acronimo: la parola “sociale” (Unità Socio Sanitaria Locale), dall’altro riprendere l’iniziativa per il rispetto delle condizioni di lavoro e della dignità dei lavoratori contrastando efficacemente la deriva della precarietà che non sembra conoscere fondo (“voucheristi” in una o nell’altra versione).
Peraltro va considerato che, nella maggior parte dei casi le figure di lavoratori con contratti “atipici” (le molteplici varianti contrattuali dalla “Legge Biagi” alle più recenti, ulteriori, estensioni) hanno formalmente (per legge) tutele in tema di sicurezza sul lavoro pressocché identiche a quelle dei contratti a tempo indeterminato (“crescente” o meno). Non si pone, ad oggi, un problema di mancata “copertura” normativa; è lo status precario in sé che rende difficile e inficia (anche perché produce un disinteresse da parte del lavoratore per un luogo di lavoro che non viene sentito come “proprio” perché momentaneo) la possibile costruzione di una coscienza e di una vertenzialità di base in tema di sicurezza.
Una eccezione emersa sono le situazioni dove le condizioni di lavoro sono talmente “selvagge” da far mettere da parte i timori individuali (come nel caso delle logistiche ove la ribellione organizzata è arrivata dagli “ultimi della Terra”, gli extracomunitari, ricattabili “al quadrato”, ma nello stesso tempo con ben poco da perdere).

Se torniamo al tema proprio di queste note, ovvero a quello dei servizi di prevenzione, la revisione della loro attività va indirizzata nel senso già indicato da Celestino Panizza (vedi il n. 227-230 della rivista): sistematicità dell’azione di vigilanza, recupero di competenze autonome e di capacità di analisi delle caratteristiche e dell’evoluzione del mondo produttivo.
Altrettanto fondamentale è la ripresa dell’iniziativa sui diritti dei lavoratori e sulle figure, anche territoriali (come il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale RLST), su cui tutte le forze sindacali dovrebbero spendersi per mettere a disposizione di tutti i lavoratori spalle forti e competenti per un contrasto delle condizioni di insicurezza che sono figlie della precarietà, e sulle quali non potrà mai essere significativo un intervento frammentato (prima un po’ di salario in più e poi diritti e sicurezza).
Se i servizi di prevenzione vengono considerati, anche dagli attori sociali, come uffici dediti alla “produzione” di sopralluoghi a cui non viene richiesta né una capacità ricettiva delle istanze dei lavoratori né la volontà di costruire un rapporto (che non sia solo l’accoglimento di istanze ed esposti) non si va molto lontano. E non ci si allontana dalla riva anche nel caso in cui gli operatori della prevenzione si preoccupano solo di “sfangarla” in qualche modo: “produrre” i numeri richiesti dalla direzione per mostrare “obiettivi raggiunti” cercando, nel contempo, di non pestare troppo i calli alle aziende (che hanno certamente modi, tempi e denaro per reagire e isolare i “facinorosi” che nonostante la “grazia” di un lavoro nel pubblico impiego sono troppo dediti all’applicazione delle norme).

Appunto, due solitudini diverse, riconosciute come tali, possono trovare modo di parlarsi e superare i reciproci limiti, d’altronde non è che negli anni ‘70 fossero tutte rose e fiori (anzi, tutto “pane e rose”).

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PENSIONI: IN VIGORE LE NUOVE REGOLE PER I LAVORI USURANTI

Da Studio Cataldi
09/10/17
di Gabriella Lax

Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto Attuativo sulla pensione anticipata dei lavoratori addetti a mansioni usuranti.
Con il Decreto del Ministero del Lavoro del 20 settembre 2017, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale lo scorso 3 ottobre, cambiano i requisiti per l’accesso anticipato al pensionamento per i lavoratori addetti a lavorazioni particolarmente faticose e pesanti, ossia i lavori usuranti regolamentati dal D.Lgs. 67/11.

In generale, saranno più favorevoli i requisiti per l’accesso alla pensione anticipata nel caso di lavori usuranti. Vengono infatti eliminate le finestre mobili e inserite ulteriori mansioni faticose tra quelle agevolate.
I lavoratori che svolgono mansioni usuranti potranno ritirarsi con la quota 97,6 in presenza di almeno 35 anni di contributi, senza attendere 12 o 18 mesi come previsto fino a quest’anno; inoltre fino al 2025 non ci saranno nuovi adeguamenti alle speranze di vita per le altre categorie previste dal 2019; da quest’anno, infine, i lavori usuranti devono essere stati svolti per almeno sette degli ultimi dieci anni di lavoro; per un numero di anni pari almeno alla metà della vita lavorativa complessiva.

La pensione anticipata usuranti spetta a chi ha svolto i lavori faticosi per almeno sette anni negli ultimi dieci della sua attività lavorativa o, in totale, metà della vita lavorativa complessiva. La manovra della legge di bilancio 2017 ha anche eliminato la finestra mobile e l’adeguamento alle aspettative di vita fino al 2025.

Per le pensioni da lavori usuranti cambiano i documenti che i lavoratori addetti a mansioni usuranti devono presentare per ottenere il relativo beneficio previdenziale e anche le scadenze per comunicare l’esito riguardante la domanda presentata all’ente previdenziale dal lavoratore interessato. Viene sostituita la Tabella A (allegata al Decreto del 20 settembre 2011) contenente “Documentazione minima da presentare ai fini della procedibilità della domanda di accesso al beneficio”.

Chi ha iniziato a svolgere usuranti in data successiva al 11 gennaio 2008 non dovrà presentare nessuna documentazione. Toccherà all’INPS e all’Ispettorato del Lavoro fare le dovute verifiche in relazione alle comunicazioni dei datori di lavoro.
I soggetti che hanno iniziato a lavorare prima dell’11 gennaio 2008 devono presentare almeno uno dei seguenti documenti: libro matricola, libro unico del lavoro, libretto di lavoro, ruolo di equipaggio, comunicazione al centro per l’impiego su cessazione o variazione del rapporto di lavoro.
Indipendentemente dalla data di inizio del lavoro usurante servirà allegare il contratto di lavoro individuale, contenente l’indicazione di inquadramento e mansioni lavorative.
Chi presta lavoro notturno in base all’articolo 1, comma 2, lettera g) del D.Lgs. 66/03, invece dovrà presentare il contratto di lavoro individuale con l’indicazione del contratto collettivo nazionale, territoriale, o aziendale e il livello di inquadramento, e un prospetto di paga con indicazione delle maggiorazioni dovute al lavoro notturno.

Resta tutto invariato per i dipendenti pubblici che dovranno presentare la certificazione del datore di lavoro che attesta lo svolgimento delle mansioni usuranti, il servizio svolto e le retribuzioni percepite.

Infine i conducenti di veicoli adibiti al servizio pubblico di trasporto collettivo con oltre 9 posti dovranno presentare almeno uno dei seguenti documenti: libro matricola, libro unico del lavoro, libretto di lavoro.

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INFORTUNI SUL LAVORO: DA DOMANI MENO SANZIONI PER LA MANCATA COMUNICAZIONE

Da Studio Cataldi
16/10/17
di Lucia Izzo

Dal 12 ottobre obbligo di comunicare infortuni con prognosi superiore a un giorno e sanzioni più lievi in caso di comunicazione omessa, tardiva o incompleta.

Il 12 ottobre rappresenta una giornata di importanti novità per quanto riguarda la materia degli infortuni sul lavoro. A partire da domani, infatti, entrerà in vigore il D.M. 183/16, il quale precisa le regole tecniche sulla realizzazione e sul funzionamento del SINP (Sistema Informativo Nazionale per la Prevenzione nei luoghi di lavoro).

In sostanza, all’obbligo di comunicazione (a fini assicurativi) degli infortuni superiori a 3 giorni, si affianca quello di comunicare all’INAIL, a fini statistici e informativi, gli infortuni subiti sul lavoro che determinano una prognosi superiore a un giorno oltre a quello dell’infortunio.

Inoltre, dalla stessa data, come ricordano i Consulenti del lavoro sul loro sito istituzionale, sarà attivo anche un nuovo schema sanzionatorio più favorevole nei confronti di coloro che non ottemperano all’obbligo di comunicazione summenzionato, sia quello avente fine assicurativo che quello a fini statistici e informativi.

Per le denunce d’infortuni superiori a tre giorni, infatti, l’importo della sanzione in caso di comunicazione mancante, tardiva, inesatta o incompleta rientrerà nella cornice da un minimo di 1.096 euro fino a un massimo di 4.932 euro, in luogo del precedente perimetro che andava dai 1.290 euro fino a un massimo di 7.745 euro, applicato fino all’11 ottobre 2017.

Chi viola l’obbligo di effettuare le comunicazioni dei dati e delle informazioni relativi a infortuni superiori a un giorno, invece, rischia una sanzione amministrativa pecuniaria che va da 548 euro fino a 1.972 euro.

Infine, i Consulenti del Lavoro precisano che il comma 6 dell’articolo 55 del D.Lgs. 81/08 stabilisce che “l’applicazione della sanzione di cui al comma 5, con riferimento agli infortuni superiori ai tre giorni, esclude l’applicazione delle sanzioni conseguenti alla violazione dell’articolo 53 del DPR 1124/65”.

Vedi anche la Guida Legale sull’infortunio all’indirizzo:

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SOLUZIONI TECNICHE PER LA SICUREZZA DEI TRATTORI E PATENTINO

Da: PuntoSicuro
27/09/17
di Tiziano Menduto

Alcune nuove soluzioni tecniche per evitare il capovolgimento dei trattori e garantire la sicurezza del conducente. La formazione dei lavoratori e l’abilitazione all’uso delle macchine agricole necessaria dal 31 dicembre 2017.

Una pubblicazione dell’INAIL del 2016, dedicata all’andamento degli infortuni in agricoltura, ricordava che se l’agroalimentare nel nostro Paese può vantare alcuni primati che ne fanno uno dei più importanti comparti del made in Italy (per sicurezza alimentare, numero di agricoltori biologici, prodotti tipici, ecc.), un altro primato del settore agricolo si registra purtroppo in campo infortunistico. Il documento “Dati INAIL” indica che nel 2014 le denunce con esito mortale in occasione di lavoro (154 nel 2014) erano superiori addirittura al rischioso settore edile (132 decessi) e al complesso manifatturiero (120).

Proprio in relazione a questi dati, che rimangono alti anche nel 2015 e 2016, e che mostrano la necessità di una più efficace prevenzione in agricoltura, ci soffermiamo su un convegno nazionale, dal titolo “La prevenzione e la salvaguardia di chi lavora e produce in agricoltura. I piani nazionale e regionali 2014 – 2018: attività e prospettive”, che si è tenuto a Foggia dal 28 al 29 aprile 2017 durante la Fiera Internazionale dell’Agricoltura e della Zootecnia.

Presentiamo oggi un intervento al convegno che ci permette di fare il punto sull’innovazione in materia di prevenzione e di ricordare scadenze per l’abilitazione all’uso delle macchine agricole.

In “La formazione in agricoltura: dall’analisi degli infortuni mortali all’abilitazione all’uso”, a cura di Vincenzo Laurendi (Dipartimento innovazioni tecnologiche e sicurezza degli impianti prodotti e insediamenti antropici – INAIL), si riportano innanzitutto dati aggiornati sugli infortuni, tratti dall’Osservatorio INAIL sugli infortuni nel settore agricolo e forestale e relativi al 2016. Dati che mostrano non solo il numero ancora molto alto degli infortuni mortali e con feriti gravi nei due settori, ma specialmente che l’agente materiale più diffuso (si superano ampiamente il centinaio di casi mortali) rimane il trattore agricolo o forestale.
E di questi casi di infortunio mortale il principale fattore causale è relativo al ribaltamento/rovesciamento, responsabile dell’evento infortunistico mortale in almeno 90 casi. A titolo di paragone la seconda tipologia di evento infortunistico è relativa all’investimento/schiacciamento (9 casi).

Rimandiamo ad una lettura integrale dell’intervento, che riporta molte tabelle e molte immagini esplicative, ad esempio relative a casi di capovolgimento del trattore con riferimento a:
-         mancanza del dispositivo di protezione in caso di capovolgimento (telaio o cabina);
-         mancanza o mancato uso del dispositivo di ritenzione del conducente (cintura di sicurezza);
-         mancato uso del dispositivo di protezione in caso di capovolgimento (telaio abbattuto);
-         dispositivo di protezione in caso di capovolgimento abbattuto/piegato (ad esempio nelle lavorazioni sottochioma in cui si utilizzano trattori con strutture abbattibili in configurazione non di sicurezza).

Il relatore presenta poi interessanti soluzioni tecniche.
Infatti, al fine di garantire la protezione del conducente anche nelle condizioni di lavoro in cui i normali ROPS (Roll Over Protection Structure: strutture per la protezione dell’operatore in caso di ribaltamento) non possono essere tenuti in posizione sollevata, sono state sperimentate le seguenti soluzioni:
-         sistema agevolatore per il posizionamento in configurazione di sicurezza del ROPS;
-         struttura di protezione a quattro montanti a profilo compatto (CROPS: Compact Roll Over Protective Structure);
-         struttura di protezione a posizionamento automatico in configurazione di sicurezza (AutoROPS);
-         trattore agricolo o forestale con struttura portante ribassata.

Riguardo a queste soluzioni sono presentate alcune indicazioni.

Ad esempio riguardo al ROPS agevolato si indica che il principale obiettivo è la riduzione della forza necessaria per la movimentazione della struttura di protezione, soprattutto durante la fase di riposizionamento in configurazione di sicurezza.
Inoltre i parametri caratteristici del sistema di blocco necessari per assicurarne il corretto movimento a una velocità compatibile con l’apertura della struttura di protezione sono stati preliminarmente individuati attraverso analisi cinematica e dinamica. E il sistema di blocco è stato verificato mediante il metodo agli elementi finiti (FEM) con formulazione dinamica esplicita per assicurare che le sollecitazioni derivanti dall’arresto repentino della struttura non determinassero cedimenti strutturali o deformazioni.
La struttura di protezione è stata preliminarmente verificata mediante metodo agli elementi finiti secondo quanto previsto dal codice 7 OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico). Successivamente è stato realizzato un prototipo sottoposto a verifiche sperimentali presso il centro ricerche INAIL di Monte Porzio Catone.
Sono riportati poi immagini, progetti e prototipo relativi al CROPS con struttura di protezione a quattro montanti a profilo compatto.
Sono riportate, a questo proposito, anche le verifiche sperimentali e alcuni vantaggi: riduzione in altezza rispetto alle strutture ROPS tradizionali; struttura non abbattibile conformata in modo da agevolare il passaggio sotto chioma.

Riguardo invece alla struttura di protezione a posizionamento automatico in configurazione di sicurezza (AutoROPS) le simulazioni numeriche condotte hanno rilevato che il tempo di apertura in posizione di sicurezza dall’istante in cui la centralina invia il segnale all’elettromagnete è inferiore al mezzo secondo. Sono state inoltre condotte simulazioni finalizzate a verificare l’apertura autonoma della struttura di protezione in configurazione di sicurezza per effetto delle forze di inerzia innescate dal capovolgimento del trattore ovvero attraverso l’utilizzo di opportune molle precompresse gestite da una centralina munita di giroscopio e accelerometri.

Infine, dopo aver riportato diverse immagini relative ai trattori agricoli con struttura portante ribassata (trattore ribassato), l’intervento si sofferma anche su un prototipo INAIL per la protezione dell’albero cardanico, dove l’organo di trasmissione è integralmente rivestito dalla protezione e le operazioni di innesto e disinnesto sono effettuate all’esterno della protezione.
Con questo sistema le parti rotanti dell’albero cardanico sono completamente racchiuse e isolate dalla protezione, che è sempre immobile. E’ impedito qualsiasi contatto tra utilizzatore e parti in rotazione. Inoltre nelle forcelle “pull collar” le operazioni di innesto/disinnesto sono nettamente semplificate.

La relazione si conclude parlando dell’abilitazione all’uso delle macchine agricole.
Si ricorda che il Decreto Legge 30 dicembre 2016, n. 244, recante “Proroga e definizione di termini. Proroga del termine per l’esercizio di deleghe legislative” (cosiddetto “Decreto Milleproroghe”) ha rinviato l’entrata in vigore dell’obbligo di abilitazione per l’uso delle macchine agricole al 31 dicembre 2017 e ha introdotto le seguenti nuove scadenze:
-         operatori incaricati all’uso delle attrezzature dopo il 31/12/17: conseguimento dell’abilitazione prima dell’uso delle attrezzature;
-         operatori già incaricati all’uso delle attrezzature alla data del 31/12/17: conseguimento dell’abilitazione entro il 31/12/19;
-         operatori già formati (corsi di tipo A) alla data del 31/12/17: corso di aggiornamento entro il 31/12/22;
-         operatori già formati (corsi di tipo B) alla data del 31/12/17: corso di aggiornamento entro il 31/12/19;
-         operatori già formati (corsi di tipo C) alla data del 31/12/17: corso di aggiornamento e verifica di apprendimento entro il 31/12/19;
-         tutti gli operatori: corso di aggiornamento ogni 5 anni a decorrere dall’aggiornamento;
-         operatori che alla data del 31/12/17 sono in possesso di esperienza documentata almeno pari a 2 anni: corso di aggiornamento entro il 31/12/18.

Il documento “La formazione in agricoltura: dall’analisi degli infortuni mortali all’abilitazione all’uso”, a cura di Vincenzo Laurendi (Dipartimento innovazioni tecnologiche e sicurezza degli impianti prodotti e insediamenti antropici INAIL) è scaricabile all’indirizzo:

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STORIE DI INFORTUNIO: UN LAVORO DUE PADRONI

Da: PuntoSicuro
27/09/17
di Tiziano Menduto

Una dipendente di una cooperativa si è tagliata il dito pollice della mano destra mentre stava lavorando su una linea di prodotti dolciari. Come è avvenuto l’incidente, le cause e come si sarebbe potuto evitare.

Pubblichiamo un estratto della storia “Un lavoro due padroni”, pubblicata sul sito del Centro regionale di Documentazione per la Promozione della Salute della Regione Piemonte (DORS), che racconta un infortunio dovuto a molteplici cause: la mancata formazione dei lavoratori, un’inadeguata valutazione dei rischi e macchinari privi dei dispositivi di protezione.
La storia fa parte delle “storie d’infortunio” rielaborate dagli operatori dei Servizi PreSAL delle ASL piemontesi a partire dalle inchieste di infortunio, con la convinzione che conoscere come e perché è accaduto sia una condizione indispensabile per proporre soluzioni efficaci per la prevenzione.

UN LAVORO DUE PADRONI
a cura di Davide Bogetti e Marisa Saltetti, Servizio PreSAL della ASL CN2

L’INFORTUNIO IN SINTESI
Esito: Bianca, l’infortunata, si è tagliata il dito pollice della mano destra.
Dove è avvenuto: reparto produzione di un’azienda dolciaria.
Che cosa è successo: una dipendente di una cooperativa si è tagliata il dito pollice della mano destra mentre stava lavorando su una linea di prodotti dolciari.
Dopo poco tempo dall’inizio del turno di lavoro, Bianca ha notato che nella zona di taglio del foglio di pasta si erano formati dei grumi che rovinavano il taglio e di conseguenza la forma delle sfoglie. Ha cercato di avvisare il manutentore per risolvere il problema ma non lo ha trovato così ha deciso di provare da sola. Bianca ha preso un raschietto e, senza fermare la linea, ha iniziato a rimuovere i grumi di pasta che nel frattempo si erano ammucchiati. All’ennesima discesa dei coltelli, il pollice della sua mano destra veniva in contatto con il filo tagliente dell’utensile.

COSA SI E’ APPRESO DALL’INCHIESTA
Il confronto tra la situazione riscontrata al momento dell’accesso in azienda e quella riferita da Bianca nella sua prima testimonianza è apparso discordante sulla presenza o meno delle protezioni sulla zona coltelli della linea: Bianca ha affermato che non erano presenti sportelli di protezione mentre nei sopralluoghi successivi all’infortunio sono stati trovati. Per poter quindi comprendere esattamente sia la dinamica dell’infortunio sia il punto esatto dove è avvenuto è stato necessario eseguire diversi sopralluoghi in azienda e integrare la prima testimonianza di Bianca con una seconda. Inoltre vista la difficoltà di comprensione della lingua da parte di Bianca, le sue testimonianze sono risultate spesso confuse e contraddittorie.
“In ditta ci sono tre linee: la prima che noi chiamiamo grande, la seconda che noi chiamiamo piccola e che è posta tra le altre due, e la terza che noi chiamiamo nuova. Io dovevo lavorare sulla linea nuova”. (Sommarie Informazioni Testimoniali - SIT del 26/08/11).
“A integrazione delle presenti dichiarazioni rese, preciso che la linea su cui mi sono fatta male è la linea piccola e non quella nuova, come avevo erroneamente affermato”. (SIT del 03/11/11).
“Ho provato a chiamare il signor Massimo, che è il meccanico della ditta Le Dolcezze srl e che si occupa di risolvere questi problemi, ma non mi ha risposto nessuno” (SIT del 26/08/11) e “Preciso inoltre che il signor Massimo che ho citato nelle dichiarazioni precedenti non è il meccanico della ditta, ma la persona che si occupa della produzione”. (SIT del 03/11/11)
Nonostante le incomprensioni e contraddizioni rilevate (presenza dei ripari sulla linea pre o post infortunio), le protezioni installate sulla linea piccola sede dell’infortunio non erano comunque adeguate. Infatti, la zona coltelli era segregata sui lati da una griglia di protezione ma la zona di uscita del prodotto era chiusa da uno sportello basculante in struttura metallica e chiusura in plexiglass trasparente. Lo sportello risultava sprovvisto di microinterruttori di sicurezza e la chiusura era assicurata da rotella avvitata alla parte fissa; questo sistema è facilmente eludibile e non necessita di nessuna chiave o altro ausilio per l’apertura. Proprio nella zona coltelli erano presenti, tuttavia, dei pulsanti di emergenza a fungo che avrebbero potuto arrestare la linea se attivati. Le altre due linee del reparto sono risultate regolari dal punto di vista dei sistemi di sicurezza; le loro zone coltelli erano segregate idoneamente con griglie di protezione metallica su tutti i lati e dotate di sistemi di interblocco. La linea dove Bianca ha subito l’infortunio era l’unica protetta con plexiglass.
L’azienda Le Dolcezze srl ha concesso in comodato d’uso precario alla cooperativa Drago la linea piccola che presentava le irregolarità e carenze dal punto di vista della sicurezza. Sulla stessa linea si alternavano però sia operatori della cooperativa che dipendenti dell’azienda dolciaria. I turni di lavoro venivano decisi e gestiti settimanalmente dal responsabile della produzione dell’azienda Le Dolcezze srl che stabiliva quante persone della cooperativa dovevano lavorare in quel turno e anche su quale linea operare. Al presidente della Drago spettava solo più decidere chi mandare a lavorare nell’azienda dolciaria.

COME E’ ANDATA A FINIRE
L’INAIL ha riconosciuto alla signora Bianca un grado di invalidità pari al 3%. Dopo l’infortunio per molti mesi l’infortunata non è più stata chiamata dalla cooperativa a lavorare se non occasionalmente per alcune giornate.
Al datore di lavoro della cooperativa è stato contestato l’aver messo a disposizione dei lavoratori un’attrezzatura non conforme e non aver correttamente valutato il rischio. Tutti e due i punti sono stati ottemperati.
All’amministratore delegato dell’azienda Le Dolcezze srl è stato contestato l’aver concesso in uso un’attrezzatura non idonea ai fini della sicurezza. L’azienda ha revocato la concessione in uso, ma la sanzione non è stata pagata. Al datore di lavoro, formale e “di fatto”, della stessa azienda è stato contestato di aver messo a disposizione dei suoi dipendenti e dei soci della cooperativa, una attrezzatura non conforme e di non aver valutato correttamente i rischi. Le prescrizioni non sono state ottemperate.

RACCOMANDAZIONI
La messa a disposizione di attrezzature o impianti che rispondono alle vigenti normative di igiene e sicurezza sul lavoro è condizione indispensabile per ridurre al minimo le probabilità che possano accadere infortuni più o meno gravi.
A questo si deve necessariamente aggiungere un idoneo processo di identificazione e valutazione dei rischi presenti negli ambienti di lavoro per poter scegliere le misure di prevenzione protezione più appropriate.
Alla fine del percorso le persone dovranno essere correttamente formate e informate sia sui rischi sia sulle corrette procedure di lavoro. Si dovrebbe avere un’attenzione particolare nei casi di coinvolgimento di lavoratori stranieri che comprendono poco o nulla della lingua italiana. In questi casi è difficile risalire al tipo e al grado di formazione erogata a questi lavoratori. Nel caso analizzato la difficoltà di comprensione ha portato a equivoci e/o versioni contraddittorie. Sarebbe opportuno cercare di utilizzare un linguaggio il più semplice possibile e, per quanto possibile, privo di termini tecnici, normativi e /giuridici.
Altro aspetto importante è la presenza di aziende che lavorano in appalto all’interno dell’azienda committente. La collaborazione dei diversi datori di lavoro nell’elaborazione del DUVRI, ovvero della valutazione dei rischi interferenziali, è sia un formale obbligo normativo sia un sostanziale aiuto nella gestione della sicurezza in caso di appalti. Al suo interno vengono riportati tutti i rischi derivanti dallo svolgimento di attività diverse negli stessi ambienti lavorativi e le precauzioni minime e le regole da seguire per eliminare o ridurre al minimo gli effetti di tali rischi. Nel caso specifico lo scambio di informazioni su come lavorare sulla linea, quali rischi presentasse, come operare in caso di inconvenienti e lo stabilire esattamente ruoli e compiti dei vari soggetti avrebbe contribuito a rendere più difficile e meno probabile l’infortunio.
Molto spesso l’utilizzo delle cooperative nasconde, dietro un apparente regolare contratto di servizi, una vera e propria fornitura di manodopera. Tale situazione appare estremamente conveniente all’azienda committente in termini di flessibilità del lavoro perché sono richiesti più o meno lavoratori della cooperativa a seconda del lavoro da fare. Ma la convenienza vale anche in termini economici e di responsabilità perché gli obblighi relativi alla sicurezza vengono scaricati sul datore di lavoro della cooperativa.
Tra l’azienda Le Dolcezze srl e la cooperativa Drago esisteva un contratto di affitto per una determinata zona del reparto, dove la cooperativa avrebbe dovuto lavorare con i suoi addetti e un contratto di concessione in uso precario di alcune attrezzature tra cui le tre linee di produzione. Nella realtà i soci della cooperativa lavoravano in tutto il reparto produttivo assieme ai dipendenti dell’azienda committente. Inoltre, le diverse linee produttive erano utilizzate da tutti i lavoratori senza distinzioni di orario, di attrezzatura e di specifica mansione.
La cooperativa non svolgeva quindi nessuna lavorazione in autonomia e tra le due maestranze c’era assoluta promiscuità. Tutto questo in pieno contrasto con il contratto di fornitura di servizi stipulato tra le due parti. In queste situazioni apparirebbe necessario richiedere il supporto del personale della Direzione Provinciale del Lavoro competente sulle questioni di regolarità dei rapporti di lavoro.

La storia di infortunio: “Un lavoro due padroni” è scaricabile all’indirizzo:

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IMPARARE DAGLI ERRORI: INCIDENTI NELLA CONSERVAZIONE DEGLI ALIMENTI

Da: PuntoSicuro
12/10/17
Di Tiziano Menduto

Esempi di infortuni che avvengono nel settore agroalimentare con riferimento all’utilizzo di celle frigorifere. La dinamica di un infortunio mortale in attività di manutenzione e di installazione di un ventilatore elettrico.

Come mostrato negli articoli di PuntoSicuro di questi mesi, sono diversi i rischi per gli operatori che lavorano nel settore agroalimentare, un settore molto rilevante, a livello produttivo e occupazionale, per la nostra economia. E uno dei rischi principali, per gli operatori impegnati nelle attività di magazzinaggio, stoccaggio, conservazione degli alimenti e manutenzione è quello relativo all’utilizzo delle celle frigorifere per la conservazione dei prodotti deperibili. Celle frigorifere che rappresentano un particolare ambiente confinato, con rischi gravi correlati non solo all’assideramento e alle basse temperature, ma anche alla ridotta percentuale di ossigeno e al pericolo di asfissia per gli operatori.

Presentiamo dunque una nuova puntata della rubrica “Imparare dagli errori”, dedicata all’analisi degli infortuni e alla presentazione di eventuali buone prassi per evitarli, attraverso il racconto e l’analisi di un infortunio mortale presente nell’intervento “Le celle frigorifere ad atmosfera controllata (CA-Room) nell’ambito del DPR 177/11” a cura di Enrico Maria Ognibeni, che si è tenuto al 6° Convegno Nazionale sulle attività negli spazi confinati (Modena, 23 Novembre 2016).

Riportiamo brevemente la dinamica dell’infortunio mortale.
Cerchiamo di capire come è successo:
-         il lavoratore era dipendente di una ditta addetta all’installazione e manutenzione di impianti frigoriferi;
-         doveva installare un ventilatore elettrico sulla batteria di refrigerazione posta alla sommità di una cella frigo non operativa, quindi apparentemente sicura, di un magazzino per la conservazione della frutta;
-         a tal fine raggiungeva la zona di lavoro con l’ausilio di una piattaforma mobile elevabile (PLE) messa a disposizione dal magazzino;

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